Maggio è stato un mese davvero parco di letture, sarà che lo studio mi ha presa particolarmente.
Ho voluto tornare dopo mesi dal mio caro Roth col suo più celebre capolavoro: "Pastorale americana".
TRAMA: Seymour Levov viene soprannominato al college "lo Svedese", osannato come campione sportivo. Un ragazzo perfetto ed impeccabile che costruisce allo stesso modo una vita perfetta; un lavoro nell'attività di famiglia, una bella moglie e una figlia, Merry. Ma sarà proprio Merry a scardinare quella ipocrita perfezione familiare nel pieno della guerra del Vietnam.
Dopo aver amato "Il complotto contro l'America" speravo di ritrovare le stesse emozioni con il premio Pulitzer 1997. Durante tutta la lettura ero costantemente altalenante nel decretare il migliore, forse perché Roth è talmente magistrale come penna che decidere è quasi impossibile. Al di là delle mie paturnie da fan, direi che "Pastorale americana" è indubbiamente una pietra miliare della letteratura americana del Novecento. Quando si pensa agli USA la prima cosa che mi salta in mente o di cui comunque parliamo è il famoso sogno americano, l'aura di perfezione, ordine, ricchezza, prosperità che l'America trasmette e che forse ha sempre trasmesso sin dalle prime migrazioni a inizio Novecento in cerca di fortuna. Roth, da Americano, è bravissimo nel dimostrare che quel sogno in realtà non esiste o, se mai fosse esistito, si sta sgretolando. Il contesto culturale del romanzo è la guerra del Vietnam quindi siamo tra gli anni Sessanta e Settanta, ma direi che con gli ultimi eventi di questi giorni non potremmo non concordare con l'autore. La differenza col romanzo che ho già letto di Roth, è che in questo caso i personaggi sono semplicemente pedine per quello che è appunto il grande tema di fondo ovvero il clima di violenza che imperversa costantemente in America. Ogni evento politico, sociale, economico, razziale sfocia nella violenza. Seymour Levov e sua figlia Merry, che in realtà compare molto poco, sono le pedine di questa scacchiera ed infatti vengono descritti molto più psicologicamente che in quanto esseri che agiscono. Merry agisce, ma poi le sue azioni rilasciano una catena di conseguenze principalmente psicologiche. E' un romanzo particolare, psicologico, riflessivo, duro. Ho empatizzato molto col protagonista perché quella stessa ricerca della perfezione, a volte anche forzata, mi appartiene. E poi la vita ti può portare al fallimento. (Sto facendo le corna per me stessa in questo istante). Un capolavoro di brutale realismo.
Il romanzo che più mi ha preso tempo questo mese è stato "Il rosso e il nero" di Stendhal.
TRAMA: Francia. Ottocento, Julien Sorel è figlio di un falegname ma la sua conoscenza della Bibbia e la forte ambizione lo porteranno a tentare la scalata sociale, costantemente combattuto tra la carica di sacerdote e il sogno di diventar soldato. Da precettore a seminarista fino a diventar segretario personale di un barone, una scalata che in realtà sarà la sua rovina.
Avevo alte aspettative su questo classico della letteratura francese, osannato da tantissimi e primo che leggevo di questo autore. Purtroppo non mi ha colpito particolarmente e l'ho trovato anche molto lento. Il personaggio di Julien Sorel risulta caratterialmente molto sgradevole perché mosso, in tutto il romanzo, da una ambizione dannosa, ben diversa da quella che invece Balzac trovava benigna nei suoi romanzi, a patto che non si andasse a creare danni alla società. Sorel è un personaggio disgregatore. Inganna, ama, mente, complotta, rimugina, finge, seduce. Tutto per vanità e ambizione smodata. Nulla di ciò che fa appare sincero e trascina tutto il caleidoscopio di personaggi che lo circondano nel caos, soprattutto sociale e di classe. La personalità del personaggio mi ha reso davvero lenta la scrittura e quindi ho apprezzato solo lo stile di Stendhal, ma purtroppo non è un romanzo che mi ha lasciato molto. Di sicuro l'autore è stato abilissimo nel tratteggiare la società del suo tempo, ma non c'è stato un grande coinvolgimento emotivo da parte mia.
Ultimo romanzo letto è stato "La bambina d'oro puro" di Margaret Drabble.
TRAMA: Jess è un'antropologa e durante uno dei suoi studi in Africa, occupandosi dei bambini con le chele di granchio decide che è il momento per lei di avere un bambino. Una bambina di oro puro, Anna. Sempre felice, innocente, solare, positiva. Una bambina perfetta e mai intaccata dal dolore del mondo. Eppure quella sua perfezione rivelerà che la piccola Anna è affetta da una sindrome molto vicina all'autismo.
Credetemi (e vi prego di non ridere) se immaginavo che questo libro fosse un fantasy. Non so nemmeno perché visto che rileggendo la trama era abbastanza palese che non lo fosse. Ma non sono pentita, anzi. "La bambina d'oro puro" è il resoconto della vita di queste due donne, Jess e la piccola Anna, raccontata da Eleanor a loro totale insaputa. E' solo questo. Una vita. Una vita difficile con una bambina e poi giovane donne affetta da autismo (o qualcosa di simile non ben specificato), la paura del futuro pervade ogni pagina e non solo Jess ma chiunque orbiti attorno a lei. Un romanzo che è un bel concentrato di sentimenti, antropologia, psicologica, neurologia. Per chi ama approfondire queste tematiche è assolutamente il libro che fa per voi. La Drabble affronta con estrema dolcezza e delicatezza temi davvero delicati. Assolutamente consigliato.
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