Calvino è il primo amore che non si dimentica mai. Anzi, di più. Calvino è l'amore della vita.
"Il sentiero dei nidi di ragno" ha battezzato il mio esame di maturità, svolsi questa traccia solo trainata da una profonda passione per questo gigante della letteratura italiana ma senza aver mai letto l'opera nello specifico. Dopo cinque anni è finalmente giunto il momento.
TRAMA: Pin è un bambino orfano di dieci anni che si comporta come i grandi, li studia, ci scherza, li offende, li ammira. Pin vive durante la Seconda Guerra Mondiale con una sorella che fa la prostituta e che, tra i tanti, soddisfa anche i tedeschi. Pin è un bambino-adulto costretto a far i conti anche lui con una Guerra a cui non si può sfuggire.
Quest'opera venne pubblicata per la prima volta nel 1947 da un Calvino ventiquattrenne. "Il sentiero dei nidi di ragno" è la sua opera prima e la differenza rispetto alle opere mature è molto evidente. Nel corso della sua vita l'autore ha sperimentato, si è spinto al metaletterario, alla denuncia sociale ed economica, alla divulgazione scientifica sempre con la testa galleggiante nel fantastico. Questo romanzo è puro neorealismo e non c'è nulla più di quello che si legge. La storia è tutta lì. O dovrei dire la Storia, quella con la S maiuscola a cui lo stesso Calvino ha partecipato.
Il romanzo nasce dall'esperienza che l'autore fece nella Resistenza italiana contro i fascisti di Mussolini e la Repubblica di Salò che il Duce instaurò dopo esser decaduto dalla carica di dittatore, spaccando completamente la nazione in due blocchi. Bande di partigiani iniziarono a combattere, compatti, per poter liberare la nostra amata Italia. E Calvino era tra quelli, tanto che l'autore stesso, molto probabilmente, compare nel libro sotto le mentite spoglie di Kim, comandante partigiano. I partigiani e la Resistenza vengono ricordati il 25 Aprile come eroi della Patria, come persone dai grandi ideali di libertà, uguaglianza, democrazia. E forse in molti casi era così, ma la Storia non si racconta mai considerando un solo punto di vista, quello dei vincitori, perché forse la realtà è molto più stratificata. Attraverso gli occhi del piccolo Pin, Calvino ci racconta una fetta della Resistenza.
Cosa ho capito da questo romanzo?
Che i partigiani non erano eroi in senso stretto e consapevoli di esserlo, ma gente comune che imbracciava le armi spesso per motivi personali tra i più disparati: dalla vendetta privata, al salvaguardare la propria terra, al sogno comunista, al voler sfuggire dalla prigione. Erano moltitudini di individui spesso totalmente ignari di ciò che facevano, se non convinti di voler eliminare qualcosa che ostacolava la propria libertà e certi di doverlo fare uccidendo. Come fa capire bene Kim (Calvino) nel lungo soliloquio, ciascuno di loro era mosso da spinte individualiste. Erano i comandanti a canalizzare queste spinte nel raggiungimento di un obiettivo comune: la Patria. Ma ognuno di loro aveva un'idea totalmente personale di Patria. Calvino non idealizza, contrariamente a ciò che purtroppo oggi tendiamo a fare con superficialità. Spesso ci limitiamo a un totale appiattimento degli avvenimenti storici, schierandoci dalla parte dei vinti o dei vincitori, idealizzando persone che erano solo persone, mossi anch'essi da spinte irrazionali. E l'autore lo aveva previsto. Kim sa che le generazioni future li avrebbero giudicati come i buoni della situazione perché lottavano per ideali non fini a se stessi ma collettivi, contrariamente ai nazisti o fascisti che sarebbero passati inevitabilmente per i cattivi perché portatori di ideali ormai privi di significato. Eppure tutti sono uomini. Tutti, dice Calvino tramite la voce del comandante, sono assetati di sangue per motivi che ciascuno di loro ritiene migliore di quello altrui. In entrambi i casi è stata guerra, è stato sangue.
Ho molto apprezzato questo primo Calvino, crudo, diretto, realistico. Nessuna idealizzazione della Resistenza. E forse la carica di questo romanzo è proprio qui, nell'essere finalmente una voce controcorrente, avendo anche vissuto ciò che ha scritto. Consigliato a tutti coloro che non si accontentano di una sola versione dei fatti ma preferiscono approfondire.
"Questo non è un esercito, vedi, da dir loro: questo è il dovere. Non puoi parlare di dovere qui, non puoi parlare di ideali: patria, libertà, comunismo. Non ne vogliono sentir parlare di ideali, gli ideali son buoni tutti ad averli, anche dall'altra parte ne hanno di ideali. Non hanno bisogno di ideali, di miti, di evviva da gridare. Qui si combatte e si muore così, senza gridare evviva. [...] Perché combattono, allora? Non hanno nessuna patria, né vera né inventata. Eppure tu sai che c'è coraggio, che c'è furore anche in loro. E' l'offesa della loro vita, il buio della loro strada, il suicidio della loro casa, le parole oscene imparate fin da bambini, la fatica di dover essere cattivi. E basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell'anima e ci si trova dall'altra parte".
"Il sentiero dei nidi di ragno" ha battezzato il mio esame di maturità, svolsi questa traccia solo trainata da una profonda passione per questo gigante della letteratura italiana ma senza aver mai letto l'opera nello specifico. Dopo cinque anni è finalmente giunto il momento.
TRAMA: Pin è un bambino orfano di dieci anni che si comporta come i grandi, li studia, ci scherza, li offende, li ammira. Pin vive durante la Seconda Guerra Mondiale con una sorella che fa la prostituta e che, tra i tanti, soddisfa anche i tedeschi. Pin è un bambino-adulto costretto a far i conti anche lui con una Guerra a cui non si può sfuggire.
Quest'opera venne pubblicata per la prima volta nel 1947 da un Calvino ventiquattrenne. "Il sentiero dei nidi di ragno" è la sua opera prima e la differenza rispetto alle opere mature è molto evidente. Nel corso della sua vita l'autore ha sperimentato, si è spinto al metaletterario, alla denuncia sociale ed economica, alla divulgazione scientifica sempre con la testa galleggiante nel fantastico. Questo romanzo è puro neorealismo e non c'è nulla più di quello che si legge. La storia è tutta lì. O dovrei dire la Storia, quella con la S maiuscola a cui lo stesso Calvino ha partecipato.
Il romanzo nasce dall'esperienza che l'autore fece nella Resistenza italiana contro i fascisti di Mussolini e la Repubblica di Salò che il Duce instaurò dopo esser decaduto dalla carica di dittatore, spaccando completamente la nazione in due blocchi. Bande di partigiani iniziarono a combattere, compatti, per poter liberare la nostra amata Italia. E Calvino era tra quelli, tanto che l'autore stesso, molto probabilmente, compare nel libro sotto le mentite spoglie di Kim, comandante partigiano. I partigiani e la Resistenza vengono ricordati il 25 Aprile come eroi della Patria, come persone dai grandi ideali di libertà, uguaglianza, democrazia. E forse in molti casi era così, ma la Storia non si racconta mai considerando un solo punto di vista, quello dei vincitori, perché forse la realtà è molto più stratificata. Attraverso gli occhi del piccolo Pin, Calvino ci racconta una fetta della Resistenza.
Cosa ho capito da questo romanzo?
Che i partigiani non erano eroi in senso stretto e consapevoli di esserlo, ma gente comune che imbracciava le armi spesso per motivi personali tra i più disparati: dalla vendetta privata, al salvaguardare la propria terra, al sogno comunista, al voler sfuggire dalla prigione. Erano moltitudini di individui spesso totalmente ignari di ciò che facevano, se non convinti di voler eliminare qualcosa che ostacolava la propria libertà e certi di doverlo fare uccidendo. Come fa capire bene Kim (Calvino) nel lungo soliloquio, ciascuno di loro era mosso da spinte individualiste. Erano i comandanti a canalizzare queste spinte nel raggiungimento di un obiettivo comune: la Patria. Ma ognuno di loro aveva un'idea totalmente personale di Patria. Calvino non idealizza, contrariamente a ciò che purtroppo oggi tendiamo a fare con superficialità. Spesso ci limitiamo a un totale appiattimento degli avvenimenti storici, schierandoci dalla parte dei vinti o dei vincitori, idealizzando persone che erano solo persone, mossi anch'essi da spinte irrazionali. E l'autore lo aveva previsto. Kim sa che le generazioni future li avrebbero giudicati come i buoni della situazione perché lottavano per ideali non fini a se stessi ma collettivi, contrariamente ai nazisti o fascisti che sarebbero passati inevitabilmente per i cattivi perché portatori di ideali ormai privi di significato. Eppure tutti sono uomini. Tutti, dice Calvino tramite la voce del comandante, sono assetati di sangue per motivi che ciascuno di loro ritiene migliore di quello altrui. In entrambi i casi è stata guerra, è stato sangue.
Ho molto apprezzato questo primo Calvino, crudo, diretto, realistico. Nessuna idealizzazione della Resistenza. E forse la carica di questo romanzo è proprio qui, nell'essere finalmente una voce controcorrente, avendo anche vissuto ciò che ha scritto. Consigliato a tutti coloro che non si accontentano di una sola versione dei fatti ma preferiscono approfondire.
"Questo non è un esercito, vedi, da dir loro: questo è il dovere. Non puoi parlare di dovere qui, non puoi parlare di ideali: patria, libertà, comunismo. Non ne vogliono sentir parlare di ideali, gli ideali son buoni tutti ad averli, anche dall'altra parte ne hanno di ideali. Non hanno bisogno di ideali, di miti, di evviva da gridare. Qui si combatte e si muore così, senza gridare evviva. [...] Perché combattono, allora? Non hanno nessuna patria, né vera né inventata. Eppure tu sai che c'è coraggio, che c'è furore anche in loro. E' l'offesa della loro vita, il buio della loro strada, il suicidio della loro casa, le parole oscene imparate fin da bambini, la fatica di dover essere cattivi. E basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell'anima e ci si trova dall'altra parte".
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