Non credo di esser stata più in ritardo con i resoconti mensili, ma gli esami e la tesi mi stanno assorbendo completamente.
Anche il mese di Novembre è stato interamente dedicato alle letture per gli esami, due letture di Balzac e una sempre legata al mondo della letteratura francese.
Il primo è "La principessa di Clèves" di Madame de Lafayette.
TRAMA: Nella corte di Francia di Enrico II, giunge la bellissima e giovane Mademoiselle de Chartres che sposò il Principe di Clèves ma conobbe il vero amore solo dopo il matrimonio, innestando un giro di pettegolezzi diffusisi in tutta la corte.
Il romanzo di M.me de Lafayette risale al Seicento e fece abbastanza scalpore, innanzitutto perché scritto da una donna e soprattutto da una nobildonna appartenente alla Corte di Francia di Luigi XIV, tanto che il libro circolò anonimo per molto tempo. In secondo luogo perché l'autrice ha raccontato in maniera capillare quella che era la vita a Corte, dalle consuetudini sociali ai costumi e alle tradizioni sino agli intrighi (per lo più amorosi) che si celano dietro il velo dell'opulenza. "La principessa di Clèves" viene considerato il primo romanzo psicologico moderno perché il lettore può seguire con estrema lucidità i giri di pensieri della protagonista, giovanissima donna, moglie estremamente virtuosa ma passionale. Il vincolo di matrimonio col principe di Clèves le imponeva di rispettare il suo ruolo pur essendosi innamorata del bellissimo duca di Nemours.
La scena che scandalizzò maggiormente fu la confessione di questo amore illecito ma ancora casto fatta dalla protagonista al marito. Una scena che fu considerata assolutamente inverosimile e che venne costruita dalla stessa M.me de Lafayette come una scatola cinese proprio perché la stessa protagonista affermò, dopo aver ascoltato il pettegolezzo sulla sua stessa vita, che era altamente improbabile ed inverosimile che una moglie confessi un amore fedifrago al marito.
Un romanzo molto breve, dalla trama forse apparentemente scontata che pure può risultare molto interessante per scoprire le origini di questo genere che poi raggiunse l'apice con romanzi come "Madame Bovary" di Flaubert.
Ufficialmente terminata la lettura del repertorio consigliato di Balzac con queste due letture: "Il figlio maledetto" e "La cugina Bette".
TRAMA: Nel pieno delle guerre di religione a fine XVI secolo, la diciottenne Jeanne de Saint-Savin in una notte tempestosa diede alla luce un figlio, nato settimino e per questo fragile. Troppo fragile per poter essere accettato come erede dal padre, il burbero e anziano duca d'Herouville. Il piccolo Etienne venne cresciuto sotto l'ala protettrice della madre e del medico, suo complice, fino a quando non venne esiliato in una capanna sulla spiaggia pur di aver salva la vita. I suoi amici saranno la musica, i fiori e le onde, in attesa di un destino probabilmente funesto.
"Il figlio maledetto" è un romanzo ben diverso rispetto ai precedenti di Balzac. Scritto tra il 1831 e il 1836, quindi coincidente con la sua fase più produttiva, in realtà ha ben poco in comune con il resto delle opere contenute nella "Comedie Humaine". E' un'opera più filosofica in cui la vita e la morte sono il filo conduttore dell'intera opera e cosa può determinare l'una o l'altra. Il piccolo Etienne viene minacciato di morte paradossalmente dalla sua nascita e quella spada di Damocle è proprio suo padre, incapace di accettare quella creatura così fragile e femminea. Una creatura non ammissibile in un mondo in cui la legge del maggiorasco, le guerre e il denaro erano le basi. Sarà proprio un calcolo di denaro a salvarlo, quanto meno all'inizio ma quello stesso calcolo sarà la sua disgrazia.
Un romanzo di estrema delicatezza, molto psicologico soprattutto nella descrizione del ruolo genitoriale (o pseudo-) di Jeanne e del Duca, dalla parvenza filosofica per il rapporto quasi osmotico di Etienne con la Natura, quella viva e palpitante.
In assoluto il mio preferito di Balzac.
Al contrario, "La cugina Bette" è quello che più ho trovato pesante tra tutti.
TRAMA: Bette, contadina e operaia lorenese, è zitella e vive a stretto contatto con la famiglia di sua cugina Adeline, bellissima nonostante non più nel fiore dell'età e moglie del barone Hulot. Tra coazioni sessuali, patrimoni dissipati e gelosie si svolge non solo la vita di questa donna, rancorosa e vendicativa, ma quella di tutta la famiglia Hulot, destinata inevitabilmente alla rovina.
Uno dei romanzi più maturi dell'autore (1846) che vede perfettamente realizzata quell'ideologia del ritorno dei personaggi inventata qualche anno prima da Balzac. La struttura del romanzo è molto frammentata, i capitoli sono brevi e nominati con una breve sintesi del contenuto, richiamando la tipica struttura del roman feuilleton nato proprio con Balzac nel 1836. Questo andamento così frammentato mi ha reso difficoltosa la lettura che ho trovato lenta, inutilmente intricata e ridondante. "La cugina Bette" è un romanzo dissacrante. I personaggi, dal barone Hulot alla cortigiana Valerie sino alla protagonista dell'omonimo romanzo, sono tutti negativi perché legati a vizi e dissolutezze. Odio, rancore, gelosia, coazione al sesso, passaggi ingenti di capitali di denaro o di azioni notevolmente intricate da realizzare quasi una matassa insolubile per tutto il romanzo, vendette. Nessun personaggio può dirsi pulito o davvero virtuoso, uniche eccezioni sono Adeline, moglie santa e virtuosa e suo figlio Victorine, fulcro di ristrutturazione della famiglia.
Proprio la negatività dei personaggi e il vizio che pervade le pagine del romanzo mi hanno reso pesante la lettura, unita alla mole dell'opera ma non si può assolutamente negare la solidità del romanzo e ancora una volta della bravura di Balzac.
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