Finalmente riesco a fare una recensione a metà mese!
Nonostante gli esami sono riuscita a leggere leggermente più rispetto ai mesi precedenti, ne approfitto quindi per parlarvi di un libro che, ahimè, non ha soddisfatto totalmente le mie aspettative. Parlo di "Abbiamo sempre vissuto nel castello" di Shirley Jackson.
TRAMA: La diciottenne Mary Katherine, detta Merricat, racconta la sua quotidianità a fianco di sua sorella maggiore Constance e suo zio invalido. Non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che loro tre sono gli unici sopravvissuti dell'intera famiglia Blackwood, morta avvelenata durante un pranzo di famiglia. La vita dei tre prosegue placida e serena fino a quando non arriva l' "estraneo", il cugino Charlie e, da qui in poi, tutti gli scheletri della famiglia inizieranno ad emergere.
Avevo altissime aspettative su questo romanzo, uno dei titoli più consigliati della casa editrice Adelphi tanto che lo acquistai proprio usufruendo delle promozioni su tutta la loro collana. Non boccio completamente questo romanzo perché Shirley Jackson è comunque brillante, ma non mi ha pienamente convinta. Il genere dovrebbe essere l'horror, ma io di horror ho trovato poco e nulla. Per più della metà del libro non succede assolutamente niente se non il susseguirsi dei bizzarri rituali giornalieri dei tre personaggi, raccontati da una alquanto stravagante Merricat. Nulla di più. La situazione si fa più piccante quando irrompe il personaggio maschile, Charlie, che inizierà a sconvolgere quei sardonici rituali familiari e, soprattutto, alimenterà le gelosie della piccola di famiglia. Si crea quindi un crescendo di avvenimenti inconsueti, violenti per alcuni versi, ma niente di spaventoso. Il pathos e la tensione che mi aspettavo di trovare non ci sono. E' palpabile però un filo di follia e di male sotteso a tutte le pagine del romanzo, c'è sempre qualcosa che non va che sia un gesto, una persona, un oggetto. Leggendo ci si rende conto che il quadro familiare che Merricat vuole presentare come normale, non lo è affatto. Indubbiamente è sulle due protagoniste che si concentra l'attenzione, l'amore fraterno tra Constance e Merricat rasenta il patologico. Ci sono molti dettagli che però a mio parere si potevano sviluppare meglio. Come è avvenuto l'avvelenamento della famiglia? Perché? E' stato davvero chi intuiamo dalla narrazione?
Lo stile dell'autrice è particolarmente scorrevole, è un romanzo che si legge veramente in pochissimo tempo considerando che sono poco meno di 200 pp. E' in grado di raccontare avvenimenti stravaganti con una calma serafica, alimentando un velo di tensione latente, ma forse è proprio questo stile un po' piatto che non mi ha convinta.
Non lo consiglio a chi è grande appassionato di horror, ma per chi volesse approcciarsi per la prima volta al genere con qualcosa di molto breve e scorrevole o per chi ama i romanzi psicologici. Qui effettivamente ci sarebbe molto da analizzare, nessun personaggio escluso.
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